La vena al collo pulsa ugualmente, forse un po’ di più. Come quando era in campo, solo che adesso a farla da padrone è il nodo della cravatta, che il più delle volte somiglia a un cappio al collo. DDR da quando è tecnico è sempre apparso sportivo nei modi e negli atteggiamenti, con quella sua veracità genuina che lo fa somigliare a un tifoso in campo.
L’ha detto proprio l’allenatore, però: “Io sarò sempre tifoso della Roma, ma non posso più farlo. Ho degli obblighi diversi adesso”. De Rossi è il simbolo del romanismo più puro, l’emblema della romanità, ma è anche e soprattutto adesso il tecnico di un’associazione sportiva. Quella che Baldissoni, ex dirigente di cui gran parte dei tifosi non sentono la mancanza, chiamava azienda.
De Rossi tra passione e obblighi
Una società entro cui bisogna far quadrare tutto: conti, esigenze, obiettivi. E non è vero che il calcio è facile, citando Allegri, il calcio diventa complesso quando si intreccia con il business. La dichiarazione più bella di Daniele De Rossi, considerando il passato recente, è quando ha ammesso di giocare da bambino a Football Manager scrivendo il suo nome in qualità di allenatore della Roma.
Ora quel ruolo lo ricopre davvero e sa che non è come quando si gioca alla PlayStation. La diplomazia, a DDR, non è mai mancata. Così come la schiettezza del primo dei supporter. Far convivere queste due anime nella stessa persona è facile quando le cose vanno bene e difficile, quasi impossibile, quando sembra che tutto vada male.
La dicotomia tifoso-allenatore
Così finisce che quando ti dicono che per prendere il centrocampista fisico serve fare qualche cessione e per mettere a posto la difesa bisogna aspettare qualche settimana in più, tu – allenatore prima e tifoso poi – finisci con l’accettare cose che magari, a cuor leggero, avresti messo da parte in nome di un’appartenenza che non è mai andata via.
La Roma si sta ricostruendo, in panchina c’è un tifoso e un allenatore che deve fare da raccordo con i dirigenti, per questo non sempre conta soltanto la sua parola. E le sue volontà sono spesso figlie di equilibri e scelte più grandi che non collimano soltanto ed esclusivamente con l’esigenza di vittoria. De Rossi ha detto di volere la squadra forte: non hanno preso tutti gli elementi che avrebbe desiderato, ma questo è il calciomercato. Questo, banalmente, è il lavoro.
Passione come benzina, intelligenza come arma
Ciascuno di noi, ogni volta che ha l’opportunità di fare il lavoro dei sogni, finisce con il conoscere quelle ombre che da fuori aveva ignorato perchè preso dalla voglia di arrivare a occupare quel posto. Dall’alto le cose si vedono meglio. De Rossi, attualmente, vede che c’è tanto lavoro da fare con cartucce esigue. La voglia, tuttavia, non manca.
Servirebbe, magari, un pizzico di comprensione in più e di fiducia che deve arrivare da quella piazza fatta di tifosi – ragazzi e ragazze – proprio come un tempo era DDR. In grado di fidarsi un po’ di più, persino quando sembrerebbe impossibile. Daniele De Rossi non può fare più il tifoso, ma un tifoso resta e chi ha dato – e continua a dare – tutto per una nobile causa dovrebbe continuare a essere incoraggiato.
Dalla parte della gente
Proprio perchè quelli che, magari, lo fischiano oggi avrebbero voluto essere al suo posto. DDR, ora, quel posto lo vive e sa che non è tutto oro quel che luccica. Tuttavia, con un applauso in più e un po’ di fiducia, anche i pesi più grandi possono essere alla portata. In molti hanno parlato di mettersi l’elmetto – metaforicamente – per difendere la Roma dai detrattori.
Quando, ipoteticamente, basterebbe allontanarsi dagli scettici. Coloro che già vorrebbero la testa di De Rossi e l’ennesima rivoluzione tecnica per un mercato non andato come molti speravano. In fin dei conti sono passati appena 180 minuti (giocati). Il resto è ancora da vivere: è possibile farlo in due modi. Sostenendo o fischiando un uomo che non ha mai voltato le spalle alla sua gente. Una scelta, in tal senso, potrebbe essere già stata fatta.