Rosella Sensi: “Mourinho? A Roma si è rifatto la bocca. Friedkin? Mai sentiti”

Un racconto che intreccia forza, fragilità e decisioni difficili, dove il senso di appartenenza e i sentimenti più autentici emergono senza filtri.

Melissa Landolina -
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Rosella Sensi
Rosella Sensi e Francesco Totti (foto instagram)

Poche parole, ma cariche di un’emozione che scivola tra le righe: «Per favore, puoi ricordare che sono sindaco di Visso? Come mio padre Franco e nonno Silvio». È così che Rosella Sensi sceglie di aprire, rovesciando il normale ordine della conversazione. Non per vanità, ma perché in quella frase c’è l’intero significato di una vita. Novecentocinquanta abitanti, lista civica, un amore quasi viscerale per la sua gente, per la sua terra, lo stesso che per decenni ha legato i Sensi alla Roma.

Quando Rosella parla, colpisce la misura, l’educazione e una delicatezza antica. Figlia di un padre che nella malattia si trasformò in una figura ancora più fragile e umana, e di una madre, Maria, che portava calore e semplicità a Trigoria con i suoi ferri da maglia, maglioni e sciarpe che sembravano cucire a mano un calcio ormai lontano.

«Quando mio padre si è ammalato ho assunto io la presidenza della Roma, il 28 agosto 2008», racconta. «Angoscia, senso di responsabilità, paura di sbagliare», sono state le emozioni che l’hanno travolta. Dopo anni difficili, Rosella lasciò la presidenza nel 2011, ammettendo che per spiegare davvero quel passaggio sarebbero servite «due o tre interviste». Le accuse, i fischi, il senso di tradimento: «Non volevo essere l’agnello sacrificale», confessa.

La Roma, per la famiglia Sensi, non è mai stata solo una squadra. Era casa, identità, storia. E anche se «gran parte del patrimonio di famiglia papà decise di impegnarlo nella Roma», Rosella non prova alcun rancore: «La Roma è stata e resta il grande amore di famiglia».

Le voci di accordi sottobanco, come l’incontro con Veltroni e Giraudo, non hanno mai scalfito il loro onore. «Quando l’invito proviene dal sindaco bisogna andare», sottolinea con semplicità. E sui sospetti di patti con la Juventus, la risposta è chiara: «Non siamo mai scesi a patti con gli avversari».

Lo sguardo che dice tutto

Quando si parla di Francesco Totti, gli occhi di Rosella si illuminano. Non c’è solo rispetto per il campione, ma un affetto autentico. «Francesco parla con gli occhi. Se ti conosce e vuole dirti qualcosa, non importa che apra bocca», rivela. Eppure, Totti è anche «straordinariamente ironico e autoironico», un tratto poco raccontato.

Mai la Roma avrebbe venduto il suo capitano. «Di venderlo mai. Con noi sarebbe potuto andare via solo a scadenza e di sicuro l’avremmo evitata». Anche quando il Real Madrid di Florentino Perez bussò con decisione, Franco Sensi non vacillò. E Florentino, dopo una storica vittoria della Roma al Bernabeu, concesse un gesto di rara eleganza: «Ci permise di camminare sul prato del Bernabeu a fine partita».

Moratti, altra figura di peso, mantenne sempre rapporti di grande rispetto, tanto che dopo la finale di Coppa Italia vinta dalla Roma sull’Inter, fece suonare l’inno giallorosso a San Siro.

Con grande orgoglio, Rosella precisa: «Nostra, non mia», riferendosi alla gestione che portò alla scelta di allenatori come Spalletti e Ranieri. Decisioni condivise, mai individuali, in un gruppo affiatato dove il confronto era la vera forza.

A proposito di sfide e avversari, impossibile non ricordare il celebre episodio dello «zero tituli» lanciato da José Mourinho. Era il 3 marzo 2009 quando il tecnico, infastidito dalla direzione arbitrale di Rizzoli in un acceso Inter-Roma terminato 3-3, dichiarò: «A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l’onestà intellettuale. La Roma ha grandissimi giocatori, ma finirà la stagione con zero tituli». Una frase destinata a entrare nella storia. Rosella commenta con lucidità: «Mourinho ha poi avuto la fortuna di entrare nel mood Roma e si è rifatto la bocca. Qui è stato fantastico, ha esaltato il senso di appartenenza».

Non manca uno sguardo al presente, ai Friedkin, attuali proprietari della Roma. Alla domanda se Dan Friedkin si fosse mai fatto vivo, Rosella risponde con schiettezza: «Mai sentito. Ma a differenza della precedente proprietà, i Friedkin hanno sempre mostrato attenzione e rispetto nei nostri confronti». Un rispetto che ancora oggi fa la differenza nei ricordi e nel modo in cui la famiglia Sensi si sente legata al club.

Ferite e rinascite

C’è una ferita che non si rimargina, una scena che ancora brucia nel cuore della famiglia Sensi. Quando la cappella di Trigoria, voluta da Franco, fu trasformata in magazzino, «mia madre pianse», racconta Rosella con la voce che si fa più bassa. Un gesto che segnò profondamente chi aveva intrecciato la fede con il calcio e la vita stessa.

E poi l’uscita di Totti, vissuta come un vero tradimento nei confronti della storia. «La storia di Francesco non meritava una conclusione del genere», ribadisce senza nascondere l’amarezza.

Nel racconto di Rosella affiora anche un ricordo pieno di vitalità: «Il 3-3 nel derby contro la Lazio. Vidi mio padre esultare come mai prima». Il calcio, per i Sensi, è stato questo: passione pura, radici, famiglia.

E quell’allenatore, quel Mazzone che urlava il suo amore in campo, rappresentava perfettamente lo spirito di un’epoca che sembra così lontana, ma che continua a vivere nei gesti, negli sguardi e nei silenzi di chi non ha mai dimenticato.