
Ruggiero Rizzitelli, protagonista di un viaggio che parte da un sogno inaspettato e arriva a toccare corde profonde legate alla Roma e al suo immenso patrimonio emotivo.
Quando il suo telefono squillò, mentre era impegnato agli Europei, non si aspettava certo che il destino gli avrebbe cambiato strada. Era praticamente tutto fatto con la Juventus, ma il presidente del Cesena lo spiazzò con una notizia che sembrava uscita da un romanzo: “Abbiamo trovato l’accordo con la Roma“. Rizzitelli racconta quel momento come se il tempo si fosse fermato, complice anche la convivenza con due tifosi romanisti, Nappi e Bonaiuti, che avevano già seminato dentro di lui una passione che stava solo aspettando di esplodere. “Da lì nasce il sogno”, dice, “ero quasi già tifoso, poi sono diventato un ultrà”.
Il destino volle che proprio lui, nel giorno dell’esordio di Francesco Totti, lasciasse il posto al giovane talento. Nei racconti di Rizzitelli emerge un’immagine potente: un ragazzino senza paura, che affrontava i veterani della prima squadra senza il minimo timore. “Francesco era l’unico che non aveva paura dei vecchietti della Prima Squadra”, racconta sorridendo. “Faceva tunnel, giocate, senza curarsi delle possibili reazioni”.
All’interno di un gruppo dove il “nonnismo” era quasi una regola tacita, Totti riuscì ad imporsi con la sua qualità e il suo carattere, aiutato anche da un Giannini che da capitano seppe proteggerlo. “Fuori dal campo era timido, ma in campo era tutta un’altra musica”, confida Rizzitelli, tracciando un ritratto vivido di quell’ambiente e ammette: “C’era un po’ di ‘nonnismo’, quando i ragazzini della Primavera si allenavano con la Prima Squadra, non potevano venire nemmeno a bere l’acqua nello spogliatoio. Poi quando inizi a giocare stabilmente in Prima Squadra, qualcosa cambia”.
Non manca l’amarezza nel ricordare gli ultimi anni da calciatore di Totti, quando il rapporto con la società si incrinò. Rizzitelli non risparmia parole forti: “Francesco non è stato trattato come avrebbe dovuto. È stato cacciato, non meritava una fine così”. Parlando dell’addio di Totti, ammette la fatica di trattenere le emozioni: “Non volevo andare in onda, non riuscivo a parlare. Vedere una persona come lui chiedere aiuto è stato davvero tosto”.
Lo spazio per i ricordi si allarga quando rievoca l’incontro con Agostino Di Bartolomei a Cesena, una presenza imponente e rassicurante. “Davo del Lei ad Agostino”, sorride Rizzitelli, “mi ha insegnato a non aver paura degli errori, a fidarmi dei compagni”. Un’eredità che avrebbe portato con sé nel resto della carriera, fino a quando approdò in una Roma pronta ad amarlo senza condizioni.
Nel cuore di Rizzitelli brucia ancora l’episodio della semifinale contro il Brøndby, quando vide i compagni troppo molli e decise di scuoterli a modo suo. “Rincorsi ogni avversario e feci un fallaccio assurdo”, racconta con una punta d’orgoglio. “Da lì è cambiata l’atmosfera. In ogni partita ci vuole qualcuno che faccia scattare la scintilla”.
Guardando alla Roma di oggi, l’ex attaccante non nasconde la gratitudine verso Claudio Ranieri, artefice di un’incredibile rimonta: “C’è ancora chi lo critica, ma bisognerebbe stendere un tappeto rosso lungo chilometri”. Sul futuro, il sogno ha un nome preciso: Carlo Ancelotti. “Se dovesse arrivare Ancelotti, servirebbe costruirgli una squadra vera. Senza giocatori, anche il miglior tecnico fatica”. Se il sogno dovesse sfumare, Stefano Pioli sarebbe comunque una scelta gradita.
Non manca una nota critica su Dovbyk, un talento che, nonostante i numeri, ha lasciato perplesso Rizzitelli. “Fisicamente è forte, ma non tiene una palla. Non si vede la cattiveria che serve a un centravanti. I gol ci sono, ma l’atteggiamento lascia a desiderare”. E con una battuta finale, racconta di quando lui e Rudi Voeller si arrabbiavano con Thomas Häßler perché non serviva loro i palloni come avrebbero voluto.
Dietro ogni parola, ogni ricordo, ogni giudizio, si percepisce una cosa sola: l’amore incondizionato per la Roma, quella vera, vissuta col sudore, il cuore e l’anima.