
In un clima incerto, le riflessioni di Alessandro Vocalelli ai microfoni di Radio Radio gettano luce su un’aria pesante e carica di interrogativi.
Al centro della discussione, ancora una volta, Florent Ghisolfi, direttore sportivo della Roma, spesso bersaglio di critiche che sembrano moltiplicarsi di settimana in settimana. Vocalelli frena il giudizio e invita a uno sguardo più lucido: “Ghisolfi è troppo al centro delle critiche”, dice. E lo fa ricordando quanto, tra alti e bassi, l’operato del dirigente francese non sia stato disastroso, come qualcuno vorrebbe far credere.
Le sue mosse sono sotto gli occhi di tutti. Il riscatto di Angeliño, lo scambio tra Saelemaekers e Abraham, gli arrivi di Koné e Soulé, sono tutte operazioni che hanno dato alla Roma opzioni concrete. Certo, l’investimento su Le Fée non ha dato i frutti sperati, ma questo, ricorda Vocalelli, fa parte della normalità del mestiere: sbagliare un colpo sul mercato non significa sbagliare tutto.
Ciò che davvero sembra mancare, secondo l’opinione espressa, è un progetto chiaro, una visione forte, e soprattutto una figura di vertice riconoscibile, quella di un CEO che possa essere punto di riferimento per società, squadra e tifoseria. “È da sette mesi che non sappiamo nemmeno chi sia”, afferma con un’inquietudine non mascherata. E questa assenza prolungata, più che un dettaglio burocratico, pesa come un macigno sul percorso della Roma.
C’è qualcosa che stride. La Roma appare ancora in costruzione, ma senza una direzione precisa. Le scelte sembrano scollegate, figlie di un’inerzia che inquieta chi guarda da fuori. La sensazione che descrive Vocalelli è forte: “Sembra ci sia un clima da ‘domani è un altro giorno’”, quasi un attendismo passivo che in una piazza come Roma diventa benzina sul fuoco del malcontento. E intanto, mentre i tifosi chiedono risposte, la percezione è che manchi la spinta vera per riportare il club ai vertici.
Tra passato e futuro, la Roma si muove su un filo sottile. Le scelte del mercato, le assenze ai piani alti, e una squadra che cerca ancora una sua identità sono parte di una narrazione che oggi appare più fragile del previsto. Ghisolfi, con le sue responsabilità, non può essere l’unico volto su cui addossare il peso di un processo incompleto: “Sembra come se non ci fosse la voglia di portare la squadra in alto”, tuona il giornalista.
Serve una guida, serve chiarezza, serve un’ambizione che vada oltre la sopravvivenza tecnica. Perché in un club come la Roma, la voglia di tornare in alto dovrebbe essere più visibile di qualsiasi errore.