
Le vite dei calciatori, a volte, sembrano scorrere su binari paralleli. Da una parte i riflettori accesi, le notti europee, i gol che restano nella memoria collettiva. Dall’altra, ci sono ombre, episodi controversi che riaffiorano nei momenti meno attesi. È il caso di Amantino Mancini, talento brasiliano che ha fatto sognare la Roma di Spalletti, ma che nel corso della sua carriera si è trovato al centro di una bufera giudiziaria capace di lasciare un segno indelebile nella sua vita.
Dalla gloria ai tribunali, fino all’addio al calcio

Tutto esplode nel 2011, quando il suo nome compare in un’aula di tribunale a Milano. L’accusa è pesantissima: violenza sessuale, due anni e otto mesi la condanna in primo grado. Una storia che parte da una festa organizzata da Ronaldinho, prosegue con un passaggio in auto e si trasforma in una denuncia dettagliata sporta in una clinica specializzata. “Mi dichiaro estraneo ai fatti e continuerò a difendermi”, furono le parole affidate ai suoi avvocati, mentre intorno a lui il silenzio calcistico diventava assordante.
Quando nel 2019 il Foggia decise di affidargli la panchina, la reazione dei tifosi fu immediata e feroce: “No a un allenatore condannato per violenza sessuale”. Più di cento commenti, una valanga di critiche e la minaccia di disertare lo stadio. Il presidente Felleca provò a difendere la scelta, appellandosi a un casellario giudiziario pulito e ricordando che “Abbiamo conosciuto il Mancini attuale, non quello di dieci anni fa, che è sposato, ha 3 figli, e anche se venisse confermato che all’epoca sbagliò, non si è più ripetuto non possiamo giudicare una persona per tutta la vita”. A mettere una buona parola sul brasiliano ci pensò l’ex tecnico giallorosso Josè Mourinho, suo tecnico all’Inter. Lo stesso presidente del Foggia ammise: “Abbiamo esaminato il profilo tecnico, la frequentazione delle giovanili della Roma e le valutazioni positive anche di Mourinho ponendo comunque attenzione per una condanna così importante”
Il legame tra Mancini e il Foggia, però, durò pochissimo: divergenze con la dirigenza e un ambiente mai realmente conquistato portarono alle dimissioni lampo dopo appena una partita. “Sembrava di stare sotto l’esercito, non faceva per me”, raccontò poi.
Mancini: cosa fa oggi e i suoi ricordi più belli alla Roma

Oggi, lontano dai riflettori italiani, Mancini è dirigente dell’Aymorés, club che milita nel Mineirao 2. Insieme ad altri ex giocatori, come Wellington Paulo e Dénis, si occupa di scovare nuovi talenti e di far crescere economicamente la società. Il suo presente è questo, ma il calcio giocato e la voglia di allenare non sono scomparsi del tutto. “Non alleno ora, ma non escludo di farlo in futuro”, ha confessato.
Restano, nel frattempo, i ricordi di Roma, le notti magiche all’Olimpico e quei gol entrati nella storia. Su tutti, il tacco nel derby. “Quel gol ha cambiato la mia carriera, era il mio primo in Serie A e in un derby. I tifosi me lo ricordano sempre.” Poi Lione, un’altra notte da sogno. “Otto doppi passi, dribbling su Reveillere e sinistro sotto l’incrocio.”
Tra i compagni indimenticabili ci sono Totti, Ronaldinho, Ronaldo, Ibrahimovic, mentre tra i tecnici Luciano Spalletti è quello che lo ha formato di più: “Mi ha insegnato a giocare a calcio davvero, è stato il migliore della mia carriera.”
Ma non può mancare una menzione anche a Mourinho: “E’ uno che ti entra dentro, lavora molto sulla mente perché capisce di calcio ed è un vincitore”.
Ombre e ricordi si intrecciano, in una storia che continua a far discutere, anche a distanza di anni.