Josè Mourinho (ansa foto)
Negli ultimi tempi, qualcosa sembra essersi spento nel rapporto tra la Roma e il proprio settore giovanile. Se fino a un anno fa era quasi naturale vedere un giovane emergere dalla Primavera e approdare in prima squadra, oggi il percorso appare bloccato. Una situazione che stride con quanto accadeva sotto la gestione di José Mourinho, che in due anni e mezzo nella Capitale ha lanciato ben tredici giovani talenti, generando anche plusvalenze preziose per il bilancio del club.
“I miei bambini”, li chiamava lo Special One. Il primo a debuttare fu Afena-Gyan, che nell’ottobre del 2021 divenne il primo classe 2003 a esordire in Serie A con la Roma, per poi lasciare il segno con una doppietta decisiva contro il Genoa. Da allora, tanti altri hanno trovato spazio: Missori, primo 2004 a giocare nelle coppe europee con un club italiano, Volpato, poi ceduto al Sassuolo, Keramitsis, volato in Polonia. La stagione successiva ha visto emergere Tahirovic, valorizzato da Mourinho e venduto all’Ajax, oltre a Faticanti, Pisilli e Majchrzak. E nell’ultima parte della sua avventura romana, il tecnico portoghese ha dato spazio anche a Pagano, D’Alessio, Cherubini, Joao Costa e Mannini.
Oggi, però, lo scenario è ben diverso. Pisilli è l’unico rimasto in prima squadra, con un rinnovo in vista fino al 2029, mentre molti altri sono stati ceduti o mandati in prestito. Nessun giovane ha esordito con De Rossi, un dato che segna un drastico cambio di tendenza. Nel frattempo, sei talenti della Primavera sono in scadenza di contratto: tra questi Marin, promesso sposo del Paris Saint-Germain, e Mannini, su cui ha messo gli occhi l’Udinese.
Eppure, lo scorso ottobre, il dirigente Ghisolfi dichiarava: “Il settore giovanile è molto importante, vogliamo continuare a sostenere i nostri ragazzi”. Parole che, per ora, non hanno trovato riscontro nei fatti. Le convocazioni in prima squadra sono state rare e spesso solo per necessità, senza un reale progetto di crescita per i giovani talenti. Con i vincoli imposti dal Fair Play Finanziario, valorizzare il vivaio sarebbe stata anche una scelta strategica ed economica. Ma la sensazione è che la Roma abbia perso la sua strada.