Doveva essere la partita della svolta ma così non è stato. Anzi. Se la Roma cercava delle risposte contro l’Inter non solo non le ha trovate, semmai ha aggiunto soltanto altri interrogativi agli altri rimasti sin qui irrisolti. Sforzandosi di trovare delle note positive, ne abbiamo parlato anche stamattina, potremmo sottolineare la buona prova al livello di collettivo del gruppo nel fronteggiare gli avversari. Sacrificio, adattabilità alle varie situazioni di gioco e impegno: ma tutto questo può bastare per una squadra che punta alla Champions? No. E’ infatti non lo è stato.
Tralasciando il doppio peccato mortale commesso dall’accoppiata Zalewski-Celik è indubbio infatti che la Roma ieri sera al massimo avrebbe potuto pareggiare e non di più. Anche perché senza le solite parate di Svilar il passivo sarebbe potuto essere perfino più pesante. Di gioco del resto se n’è visto poco a parte qualche guizzo tentato da Pellegrini – che ha preso un palo sebbene con la complicità di Sommer – e poco più. Dybala ha deluso, idem Soulé e gli altri.
Roma: sconfitta dentro e fuori dal campo
Ma oltre alla disfatta sportiva i giallorossi ieri hanno perso anche fuori dal campo. Sì perché il problema fondamentale della Roma in questo momento è che sembra essere una società in balia degli eventi che gli accadono intorno. Con il campo a fare solo da contesto, per di più in modo deprimente visti i risultati.
A mancare infatti è la presenza forte, autorevole, di una proprietà che dovrebbe tenere saldo il timone di una nave durante una tempesta e che invece ha deciso di lasciarla del tutto alla deriva o quasi. Basti pensare che dopo il terremoto De Rossi non è cambiato nulla: e non può bastare soltanto la nuova strategia intrapresa da Ghisolfi (quella finalmente di esporsi pubblicamente) per placare le tormentante acque attorno a Trigoria.
La differenza con l’Inter è stata evidente
Ripensiamo per un attimo alla partita di ieri sera. Se infatti in campo alla fine la differenza l’ha fatta un campione, in tribuna è emersa la vera differenza tra le due realtà. Da un lato c’era una management identificabile in ruoli e competenze ben specifiche; dall’altro una sola persona a cui, proprio com’era accaduto con De Rossi, sono state riversate addosso improvvisamente tutte le responsabilità in assenza di altri ‘parafulmini’ alla DDR o alla Mou.
Marotta, Zanetti, Ausilio, Baccin, Alessio inquadrati da una parte e il solo Ghisolfi dall’altro. Da giorni, settimane, si parla del nuovo CEO che però ancora non è stato nominato.
Il risultato è allora sotto gli occhi di tutti e si può ben riassumere con uno degli striscioni esposto in curva sud durante la partita: “Friedkin, la vostra assenza è talmente palese che a parlare ci avete mandato un francese”.