Un modello che sembrava non poter reggere alla modernità. Una scelta, certo non “scritta” ma filosofica chiaramente, che a tutti sembra anacronistica. Eppure l’Athletic Club, comunemente conosciuto da tutti come l’Athletic di Bilbao, continua per la sua strada. In barba a globalizzazione e fenomeni trans-migratori. Ma perché nel Bilbao possono giocare solamente giocatori baschi? Se qualcuno pensava infatti che questo requisito “anagrafico” per giocare nella squadra biancorossa spagnola fosse soltanto un retaggio del passato, beh sappiate che non è così. Anzi, la tradizione esiste e resiste più che mai. Pur trovandoci nel 2024. Pur essendo il calcio, così come la società del resto, sempre più connubio di popoli e nazionalità differenti.
E invece l’Athletic Bilbao sembra non volersi piegare al trascorrere nel tempo. Basta prendere in mano la rosa 2024-2025 per accorgersi di come al suo interno figurino ancora soltanto calciatori spagnoli: dal primo dei portieri, all’ultimo degli attaccanti. Ma c’è di più. Si perché il cerchio è ulteriormente ristretto per l’appunto alla regione dei Paesi Baschi, intesa non tanto al livello amministrativo quanto piuttosto al territorio (chiamato Euskal Herria*) che ospita la popolazione basca. Insomma, un particolare che rende questo club davvero più unico che raro al mondo.
Agirezzebala, Paredes, Vivian, ma anche Unai Simon, Lekue e così via. Questi sono solo alcuni dei calciatori che quest’anno stanno disputando la Liga e, al livello internazionale, la nuova Europa League. Lo sa bene la Roma che proprio nel match d’esordio del torneo affronterà la squadra spagnola. O meglio: basca, verrebbe quasi da dire. Perché se non parliamo di una Nazionale poco ci manca. Se volete divertirvi – per curiosità – andate a vedere i luoghi di nascita di tutti i calciatori: sicuramente rimarrete sorpresi.
Quali requisiti dunque sono necessari per poter indossare la maglia dell’Athletic Club ancora oggi? Sostanzialmente due. Il primo, fa riferimento come detto alla città d’origine, che deve ricadere all’interno della Regione chiamata Euskal Herria; in tal senso fanno fede le province Alava, Guipuzcoa, Vizcaya, Navarra o i paesi baschi francesi. C’è poi un secondo parametro che, in qualche modo, ha ampliato negli ultimi anni il bacino d’utenza della squadra (ideale ripetiamo) ed è quello di aver giocato nella cantera del Bilbao o comunque in una squadra sempre del territorio sopra citato.
Una domanda sorge spontanea: ma come può reggere un simile modello alla prova del tempo? Il calcio peraltro è in continua evoluzione e perfino i top club europei sono alla costante e affannosa ricerca del prossimo campione da acquistare. Pensare quindi di limitarsi a guardare soltanto ai “vicini di casa” – passateci l’espressione – appare sulla carta un business praticamente insostenibile. Almeno, precisiamo, se si vuole competere ad alti livelli s’intende. Pensiamo alla Roma. Sono molti i talenti cresciuti sul territorio, romani e romanisti, che ancora oggi sono presenti nella rosa della prima squadra, ma ciò non ha impedito l’arrivo di calciatori da fuori.
Che dire dunque della storia recente dell’Athletic Bilbao? Ebbene, ancor più strano è il fatto che, in un modo o nell’altro, la squadra continui comunque a mantenersi a buoni livelli anno dopo anno. Certo, magari non arrivano regolarmente trofei e successi straordinari ma è nulla al confronto, per i Los Leones**, del mantenere intatta la propria identità. In questa stagione, ad esempio, possiamo considerare proprio la partecipazione all’Europa League, quale termometro per misurare la competitività del club non solo in Spagna. Anche in Liga tuttavia le cose non stanno andando male per gli uomini di Valverde, anzi. La squadra – che ha alcuni giocatori molto forti in rosa (su tutti Nico Williams) – si trova a ridosso delle prime posizioni, al terzo posto dietro a Barcellona e Real Madrid.
L‘Athletic Club ha fatto da apripista in Spagna per quanto riguarda il calcio alla fine dell’800 ed ha avuto un passato glorioso, tanto da essere considerata una delle più forti squadre dell’intero paese. Delle sue origini inglesi ad oggi resta tuttavia soltanto la lettera ‘h’ nel nome, ad indicare un’internazionalità che però le politiche societarie hanno via via messo da parte. Ricchissimo il palmares: 8 campionati vinti, mai una retrocessione, 23 coppe del re e 2 super coppe di Spagna. Ma c’era un grande ‘ma’: la forte presenza di stranieri nella rosa. Per questo una delle accuse che veniva mossa alla società era quella di non voler valorizzare abbastanza i giovani talenti del territorio.
Detto, fatto. Per alcuni ciò venne ritenuto un vero e proprio affronto, specie considerando che parliamo di un popolo molto legato alle tradizioni e alla propria cultura come abbiamo visto. Da qui, sembrerebbe, sarebbe maturata la decisione drastica di tagliare simbolicamente i ponti praticamente con tutti. Tranne che con gli autoctoni, divenuti così nel frattempo gli unici “tesserabili” dal club. Una filosofia che perdura ancora oggi: anche se questo ha significato rinunciare a qualche successo – dagli anni 2000 l’andamento dei baschi non è mai stato eccezionale – ma che ha reso ancora più speciali quelli ottenuti. Come lo scorso anno, quando i Los Leones sono tornati ad alzare al cielo la Coppa del Re dopo 40 anni di astinenza.
Nel 2010 la società ha fatto un sondaggio tra i propri tifosi tastando il terreno circa la possibilità di tornare ad acquistare calciatori stranieri. Netta la risposta: no per il 93%. Apertura è stata invece mostrata agli oriundi ma solo se di prima generazione (genitori o nonni baschi) oppure stranieri ma sempre con origini basche. Accolto in un certo qual modo anche l’ulteriore requisito “calcistico” di essere cresciuto nel vivaio dell’Athletic Club o in una delle squadre del territorio. Infine, secondo alcune fonti locali, basterebbe anche una comprovata fede calcistica verso il club per essere “arruolabile”.
*Letteralmente: popolo che parla la lingua basca
**Nome con cui sono conosciuti i tifosi dell’Athletic Club