Tiziano Ferro canta che l’amore è una cosa semplice, ma complessità e importanza di un sentimento si vedono proprio nei momenti difficili. Alla Roma, in questo periodo, si stanno chiedendo se sia davvero così. I sentimenti muovono il mondo, ma spesso possono essere scomodi perchè sconquassano e rivoluzionano ogni cosa.
Vale anche e soprattutto nel mondo del pallone. Ecco perchè quando è arrivato Daniele De Rossi sulla panchina della Roma chiunque, forse a torto, si sentiva un po’ più protetto. In grado di sopportare qualunque delusione. In realtà non è così: le delusioni arrivano ugualmente e sono pesanti, magari fanno male due volte perchè – nei momenti no – ci si aspetta un lieto fine che non arriva mai.
De Rossi, da idolo a “parafulmine”
I giallorossi, ora, cercano di uscire dalla tempesta: vittorie che non arrivano, meccanismi che non riescono. In panchina c’è un allenatore che, se fosse stato in qualunque altra realtà, non avrebbe avuto gli stessi riscontri. Nel bene e nel male. Roma è anche questo: amore incondizionato e amarezza profonda.
Due opposti che non si attraggono, ma finiscono per completarsi in questa folle e gigantesca passione che banalmente chiamano tifo. A Roma, sponda giallorossa, però, è una filosofia di vita. Quindi, fin quando le cose vanno bene, sei come un Papa. Appena i conti non tornano, esce fuori il fantasma dell’oblio.
Colpito al cuore
DDR, fino a qualche tempo fa, veniva considerato eterno vanto. Non alla stregua di Totti, ma quasi. Un privilegio da conservare, coccolare e assecondare. Non appena seduto sulla panchina della Roma ha fatto 6 mesi più che incoraggianti: 2 punti di media e i problemi di Mourinho, tattici e non solo, sembravano essere acqua passata. L’amore, però, sa essere spietato e mette davanti gli stessi interrogativi di un tempo, ma in forma diversa: la squadra fatica, non trova spunti, sembra persa e senza idee.
Almeno per un tempo a partita. 45 minuti di autonomia la Roma ce li ha, ma non bastano. Ne servono 90. Questa condizione parziale a chi è imputabile? Nessuno escluso dalle critiche, nemmeno De Rossi. Il dissenso, dopo 40mila abbonamenti, è lecito sugli spalti. Quel che divide, ancora una volta, è la ripercussione successiva: al tecnico giallorosso, diventato idolo senza tempo, gli è stato augurato il peggio (anche problemi di salute) solo per aver avuto la colpa di non essere riuscito (ancora) a vincere.
Insulti e amarezza
Insulti social dopo l’ennesima prestazione opaca. Si tratta, citando lo stesso allenatore della Roma, di subumani senza arte né parte. Quel che conta, però, è che ci sono molte altre persone – che magari non augurano un tumore all’allenatore – pronte a sperare che si faccia da parte. Non lo ritengono più utile alla causa Roma.
Un profilo come quello di DDR, che la Roma ha aiutato a portarla in alto come un vessillo (sulle orme di Di Bartolomei), ora viene messo alla berlina. Pronto per essere rimpiazzato, metaforicamente e non, con il primo disponibile sul mercato. I Friedkin hanno deciso di riconfermare, almeno momentaneamente, De Rossi sulla panchina giallorossa.
Avanti con DDR
Resta, però, una consapevolezza: l’amore della piazza, che prima era incondizionato, adesso è diventato parziale e frammentato. Bastano davvero 9 punti lasciati per strada a mettere in discussione un’abnegazione di più di 20 anni da parte di un uomo che farebbe di tutto per la Roma? Persino quello che molti sperano: farsi da parte, ma non è ancora il momento. Fosse soltanto per dimostrare ai più cinici che, qualche volta, i sentimenti vincono. Magari non subito, ma trionfano. Al contrario di coloro che vogliono spegnere qualsiasi forma di riscatto e speranza dopo appena 360 minuti.