Spezziamo una lancia a favore di Daniele De Rossi. Chiaro, parte delle responsabilità del momento complicato che sta vivendo la Roma è anche sua, ma non è possibile ogni volta prendersela esclusivamente soltanto con l’allenatore. E’ vero che nel calcio, per forza di cose, specie a stagione in corsa, se le cose vanno male può essere soltanto la testa del mister quella a “saltare”. Ma quantomeno una società forte ha il diritto e il dovere di proteggere il suo allenatore fin dove possibile. Anche mediaticamente.
A Roma invece è un dato di fatto che i Friedkin non si siano mai esposti troppo pubblicamente, un aspetto quest’ultimo sottolineato anche da Francesco Totti nella sua ultima, chiacchieratissima intervista. Nemmeno quest’anno che sulla rosa è stata compiuta una vera rivoluzione c’è stato un Dirigente che si sia preso la briga di spiegare le strategie e le mosse societarie che si stavano mettendo in atto. Niente, di niente. Figuriamoci che persino i calciatori non sono stati “presentati” nel modo canonico adottato dalle altre società. E poi: che fine ha fatto Ghisolfi? Un’ombra fin qui, oseremmo dire. Tutto questo però, alla lunga, finisce per ritorcersi contro all’intero ambiente.
I Friedkin non parlano: mai come ora però servirebbe la voce della società
Trigoria, lo dicono praticamente tutti, è diventato sotto questa seconda gestione americana una sorta di ambiente a “compartimenti stagni“. L’unica figura con cui è possibile parlare di fatto è soltanto il tecnico, in questo caso De Rossi. DDR questo compito l’ha pure accettato. Con un rovescio della medaglia tuttavia: quello di essere diventato il “parafulmine” di tutto e tutti. Specie ora che le cose non stanno andando come dovrebbero. A lui, per mancanza di alternative, viene chiesto di tutto: dalle scelte di calciomercato, ai provvedimenti societari, ad argomenti che non dovrebbero toccare direttamente un allenatore. Purtroppo non c’è alternativa.
Tutti fanno riferimento a De Rossi: dal mercato al caso Zalewski
Perché infatti nessun componente della società è intervenuto, ad esempio, alla fine di Genoa Roma per sottolineare la pessima gestione arbitrale? Ma è soltanto l’ultimo di una lunga sfilza di episodi. E si torna di nuovo a De Rossi. C’è stato una sorta di imbarazzo, passateci l’espressione, nel doversi farsi carico di comunicare la decisione – non sua – presa su Zalewski, quando invece sarebbe stato più corretto far parlare direttamente il club. E invece no. “Non so cosa rispondere perché non ho deciso io, stai chiedendo alla persona sbagliata”, ha detto DDR sabato in conferenza stampa. E non ha torto.
Andiamo a ritroso. I giallorossi sono l’unico club in Serie A che non ha presentato la stagione al momento dell’inizio del ritiro; oppure che non ha svolto una conferenza al termine del mercato, anche per spiegare le idee alla base del nuovo corso intrapreso a luglio. Dicevamo poi dei vari calciatori giunti a Trigoria. Mai incontri aperti ai media, piuttosto soltanto parole affidate ai canali ufficiali societari. Per carità. Si tratta di scelte legittime. Ma che ora stanno alterando i giudizi sulla squadra perché l’unico a cui fare riferimento è sempre e solo l’allenatore. De Rossi come Mourinho? Speriamo di no. Ma quella profezia di Totti resta lì sullo sfondo.
La comunicazione: perché i Friedkin dovrebbero cambiare passo
Sono in tanti allora, alla luce di quanto visto, a chiedere una gestione sulla comunicazione diversa alla famiglia Friedkin. Va bene mantenersi defilati. Fino ad un certo punto. Servirebbe a nostro avviso una figura societaria in grado, soprattutto in questi momenti, di prendere in mano la situazione e spostare l’attenzione da giocatori e tecnico. Compattando l’ambiente di fronte agli attacchi esterni e difendendo, almeno per adesso, la decisione presa per quanto riguarda la guida tecnica nemmeno tre mesi fa. Tutto questo avverrà mai? Chissà…