Il periodo era, più o meno, questo. Al posto di Fiumicino c’era l’Olimpico e le persone erano molte di più, ma l’atmosfera era la stessa. Nell’estate del 2000 Batistuta veniva presentato alla Roma, 24 anni dopo è la volta di Soulè. Due argentini nel segno dell’amore. Tecnica sopraffina, imparagonabile per molti versi, il Re Leone ha fatto qualcosa che non si vede da anni sui campi di calcio.
Una gestione di fisicità e tecnica pari soltanto ai grandi nomi del passato. Soulè è molto forte, ma se c’è un tratto che lo paragona a Batistuta è la voglia di rischiare. Il ragazzo – così come l’attaccante ex Fiorentina più di 20 anni prima – poteva andare ovunque. Anche in squadre più blasonate, che lottano per trofei più importanti.
Invece ha scelto la Roma, venendo dalla Juventus. I giallorossi sono comunque considerati a livello europeo, ma ad oggi restano in fase di ricostruzione. Vogliono affermarsi, come hanno cercato nel recente passato, ma nulla a che vedere con quello che Matias Soulè – in termini di palcoscenico e competizioni da disputare – avrebbe potuto trovare all’estero.
Ha deciso di sposare la causa giallorossa per due motivi: il primo è l’amicizia con Paredes e Dybala, il secondo è legato alla forza e l’amore della tifoseria. Soldi poteva e può averne ovunque, ma a Roma è già considerato come un re. A Fiumicino, ad aspettarlo, c’erano 250 persone. Stipate in un aeroporto. Scene da film. Delirio da notti magiche.
Negli occhi di Soulè, proprio questa magia ha fatto la differenza. Allora basta riavvolgere il nastro per risentire idealmente le parole di Batistuta appena arrivato a Roma: “Mi sono sempre piaciute le grandi sfide. Mi hanno cercato anche altre grandi – disse – ma l’ebbrezza di fare qualcosa di importante a Roma fra tutta questa gente è stata troppo importante nella decisione finale”.
Tutto, altro, al di là dei soldi. Perché non si vive soltanto in funzione della ricchezza. Soprattutto per chi è già ricco di suo, perchè Soulè non viene nella Capitale per due spicci. Prende molti soldi, meno di quello che avrebbe guadagnato altrove. Ma lui ha trovato l’America, anzi ha trovato la Roma che lo aspetta per godere dei suoi numeri e fare festa insieme. Dentro e fuori dal campo.
Non a caso ha scelto la maglia numero 18: la stessa di Batistuta. Ce l’aveva anche al Frosinone, ha voluto riprenderla a Roma proprio in ricordo del suo connazionale. Soulè e Batistuta, Matias e Gabriel, così diversi eppure uniti da un destino tutto romanista. Quello che insegna, ancora oggi, a sognare nonostante tutto. Persino quando sembra impossibile, la vita – sportivamente e non solo – ti sorprende. Sono solo numeri, è solo uno sport. Forse.