I rigori non si parano, si sbagliano. Un vecchio detto domina il mondo del pallone praticamente da sempre sin da quando, nel 1891, il penalty venne ufficialmente introdotto nel regolamento del calcio. La posizione di superiorità, è risaputo, ce l’ha di fatto l’attaccante che ha a sua disposizione ben 7,32 metri di porta (considerando la sola larghezza) per battere l’estremo difensore. Eppure non sempre succede, anzi. La storia è piena zeppa di clamorosi errori dagli 11 metri, alcuni passati inosservati, altri rimasti invece famosi. Il più conosciuto, probabilmente, è quello di Roberto Baggio ai mondiali del ’94 che costò la finale all’Italia.
Una delle domande ricorrenti, anche per i meno appassionati, è allora sempre la stessa: ma com’è possibile che accada? Sì perché se ad esempio è più facile capire l’errore dal dischetto magari di un difensore o comunque di un calciatore meno abituato a tirare la massima punizione, diverso è il discorso dei fuoriclasse pluridecorati. Baggio ma anche Cristiano Ronaldo, Dybala, Messi: la “dura legge del rigore” non risparmia nessuno. E tutti possono restarne vittime.
In questo articolo:
Difficile in poche righe elencare tutti gli errori più famosi dagli undici metri. Proviamo comunque a menzionarne qualcuno: Costacurta, non proprio un giocatore qualunque, sbaglia il rigore decisivo nella finale di Coppa Intercontinentale contro il Boca Juniors, e prima di lui lo fanno Pirlo e Seedorf, altri due nomi tutt’altro che sconosciuti. Ma, si sa, ad essere ricordato purtroppo è soltanto quello decisivo. Restando in casa Milan ecco ancora Shevchenko ipnotizzato nella finale maledetta contro il Liverpool, con gli inglesi che erano riusciti a portare ai rigori la partita rimontando il parziale di 3-0. Alzando infine, clamorosamente, la coppa.
Sempre il Liverpool ha incrociato anche la storia di Ciccio Graziani anni addietro, correva il 1984, quando il centrocampista giallorosso fallì il penalty decisivo negando al suo compagno Chierico la possibilità di calciare il suo di rigore. E anche in quel caso la coppa passò agli avversari. Il nostro viaggio prosegue con un’altra finale di Champions: capitan Terry con il Chelsea scivola sul più bello e regala la vittoria ai rivali del Manchester United. E via col 2006: l’Italia vince il Mondiale sfruttando l’errore di Trezeguet e il gol di Grosso, cosa che non riuscì invece a Di Biagio qualche anno prima, e nel 2016 alla coppia Pellé-Zaza. Se è vero dunque che “non è da questi particolari che si giudica un giocatore”, come cantava De Gregori, purtroppo alcuni sbagli pesano più di altri. E non c’è una seconda possibilità.
Lo sa bene ad esempio la Fiorentina che lo scorso anno si è aggiudicata il per nulla ambito titolo di squadra che ha sbagliato più rigori di tutti – e per di più consecutivamente – nei top 5 campionati europei, ben cinque di fila. Una sorta di maledizione che ha colpito trasversalmente anche i più avvezzi a calciare dagli undici metri, come Gonzalez. Ma è soltanto sfortuna o c’è qualche altra motivazione alla base dell’errore fatidico? C’è chi parla di mancanza di freddezza, di abilità del portiere, oppure, per l’appunto, di mala sorte. Non a caso si parla spesso di “lotteria dei rigori”, proprio a voler considerare l’imprevedibilità del risultato finale una volta che il match arriva a decidersi dagli undici metri. In realtà tuttavia, come dicevamo all’inizio, il rigore si sbaglia, non si para. Vediamo perché.
Il primo motivo arriva dalle dimensioni della porta in rapporto alla figura del portiere. Parliamo di una superficie complessiva di 17,86 mq. Un estremo difensore, in un ipotetico semicerchio attorno alla sua persona, può coprire al massimo 4 mq di porta, lasciando, di fatto, scoperto il restante 80% del bersaglio, pur considerando l’estensione delle braccia. Dando per scontato comunque di riuscire ad azzeccare il lato giusto della conclusione. Già questo basta per capire quanto un attaccante arrivi estremamente avvantaggiato sul dischetto.
A ciò va unita la velocità di tiro in relazione alla relativamente breve distanza dalla quale si calcia, ovvero i famosi 11 metri. Risparmiandovi le formule matematiche, è stato stabilito che un pallone calciato a circa 90km/h dal dischetto (e non è una delle velocità più alte registrate) impieghi circa 0,44 centesimi di secondo a raggiungere la porta, il che diventa il tempo necessario per il portiere di decidere dove lanciarsi. Questo spiega perché i numero 1, quasi sempre, scelgano in anticipo il lato dove buttarsi, in modo da accorciare lo svantaggio con il tiratore. Maggiore sarà quindi la velocità del pallone, meno sarà la possibilità del portiere di prenderlo. C’è poco da fare.
Tornando alle dimensioni della porta ci sono aree, confermate anche in questo caso dalla letteratura scientifica, che mostrano come un rigore calciato in determinate zone della porta abbia una maggiore possibilità di riuscita. Il che è abbastanza intuitivo per il discorso fatto nei precedenti paragrafi: un tiro rasente al palo, tanto in alto, all’incrocio, quanto soprattutto in basso, diventa irraggiungibile per il portiere, anche per i più bravi come il nostro Donnarumma per intenderci. Di contro, calciare a mezza altezza e poco angolato, aiuta il portiere ad intercettare la conclusione.
Quando si parla dunque di “errore umano” in generale, qui ne troviamo la riprova perfetta. Da quanto abbiamo visto, almeno teoricamente, il rigore perfetto sulla carta esiste eccome. Il problema è però che, per quanto uno si possa allenare affinando le proprie abilità balistiche, magari pure innate, prima o poi il sistema si inceppa. Non a caso negli ultimi anni stiamo assistendo ad una nuova tendenza su questo fronte, ovvero quella, da parte di chi tira, di aspettare fino all’ultimo il movimento del portiere ingaggiando una sorta di battaglia mentale con il portiere.
Una scelta però molto rischiosa perché di fatto mette nelle condizioni l’attaccante di imprimere meno forza al pallone spalancando la porta alla possibile “figuraccia”. Perché se poi il numero 1 resta fermo lo sbaglio diventa pressoché certo. Insomma, se si mette da parte la fisica – un calcio potente in una zona ben precisa della porta – a beneficio della psicologia allora sì che si entra nel campo della famosa lotteria.
A questo proposito, chiudendo il nostro excursus sul tema, una recente ricerca scientifica ha aperto un nuovo orizzonte sulla possibile motivazione scientifica dietro il fallimento dei rigori. Spesso sentiamo parlare infatti di giocatore che “non ha retto la pressione dagli 11 metri” e la verità potrebbe non essere poi troppo lontana. Secondo una ricerca pubblicata da New Scientist e riportata da Focus apprendiamo:
“Il meccanismo cerebrale che governa la capacità motoria può incepparsi davanti all’aspettativa di una ricompensa altissima. Se infatti il nostro sistema di programmazione ci aiuta nell’eseguire il miglior movimento possibile in vista di un premio, accade esattamente l’inverso se quest’ultimo è troppo alto”.
Lo studio, condotto su alcune scimmie, ha registrato infatti l’attività dei neuroni nella regione del cervello che pianifica ed esegue i movimenti, la corteccia motoria. Quando gli animali, dovendo eseguire alcuni compiti di abilità (gesti rapidi e veloci per raggiungere un bersaglio mobile, ndr), hanno dovuto ottenere una ricompensa maggiore – nello specifico acqua zuccherata – le informazioni sulla pianificazione motoria sono calate nettamente, rendendone più difficili i movimenti. Cosa che non avveniva in caso di premi “minori”. Tra la vittoria e la sconfitta dunque, tornando al campo da calcio, c’è di mezzo allora (anche) il nostro cervello. E non tutti come abbiamo visto riescono a dominarlo…