Seconda e ultima parte della nostra lunga intervista con Fulvio Collovati. Grandissimo calciatore – campione del mondo con l’Italia nell’82 e una carriera divisa tra alcuni dei club più forti del nostro campionato (tra cui la Roma) – con lui abbiamo parlato stamattina del difficile momento che sta vivendo la Nazionale, reduce dall’ennesimo fallimento (potete leggerla qui) e di cosa si potrebbe fare per ripartire.
Con Collovati però, chiaramente, non potevamo non parlare anche e soprattutto della “sua” Roma e di quella che sta nascendo sotto la guida di Daniele De Rossi. L’ex difensore ha ricordato tanti aneddoti, come su Liedholm ad esempio, e parlato dei suoi compagni di squadra ai tempi di Trigoria, con alcuni dei quali i rapporti sono proseguiti anche dopo l’esperienza giallorossa.
La carriera: tra Milan, Inter, Roma e i successi con la Nazionale
Gli esordi di Fulvio Collovati sono con la maglia del Milan negli anni ’70, squadra con cui giocò anche la Serie B (i rossoneri furono retrocessi per illecito sportivo nel 1980) riportandola poi nella massima serie l’anno successivo. Non fece però lo stesso percorso due anni dopo quando decise di trasferirsi all’Inter non seguendo la squadra finita nuovamente nella serie cadetta, stavolta sul campo. Un cambio di sponda cittadina rimasto inviso ai tifosi del Milan. Il 1982 è però anche l’anno del trionfo azzurro in Spagna della nazionale del CT Bearzot di cui Collovati era uno dei punti fermi.
Dopo oltre 100 presenze con la maglia dell’Inter il difensore passò quindi all’Udinese per una stagione prima di rilanciarsi a Roma. A volerlo fu Liedholm che lo aveva avuto con sé già ai tempi del Milan. L’esperienza del centrale in giallorosso durò lo spazio di due anni, dal 1987 al 1989, per un totale di 45 presenze complessive e un gol segnato: la prima stagione fu molto positiva, “sebbene i tifosi rimasero comunque delusi”, racconta Collovati, la successiva meno. Il legame con la città è però rimasto intatto, al di là delle strade professionali che si sono divise: “Roma? Mi ci ritrasferirei subito. E’ la città più bella del mondo”. E sui tifosi aggiunge: “Sono passionali, sono tifosi tutti i giorni e non solo la domenica”.
La seconda parte dell’intervista a Fulvio Collovati: dalla ‘sua’ Roma a quella di oggi. “De Rossi? Una garanzia ma devono comprargli i giocatori”
Collovati, in carriera lei ha giocato alla Roma per due stagioni. Per i giallorossi sarà una stagione a caccia di conferme con De Rossi: un pensiero su di lui e sulla squadra, vedremo una formazione competitiva per i primi posti?
“Di De Rossi ho grande stima. Perché è uno che non fa chiacchiere, fa fatti. Davanti ai microfoni dopo la partita, passatemi l’espressione, non ti racconta mai la “supercazzola”, dice sempre le cose come stanno, nel bene e nel male. E’ un piacere ascoltarlo, è una persona seria. Detto questo, per lui spero che questa Roma venga rinforzata e non indebolita perché se inizio a pensare che Lukaku non ci sarà più, Spinazzola non ci sarà più, Abraham lo stesso, forse anche Dybala, le sensazioni non sono delle migliori. Per cui aspetto di vedere prima il mercato per poter esprimere un giudizio. Ripeto, la garanzia è De Rossi ma poi in campo ci vanno i giocatori e i giocatori glieli devono comprare“.
Il legame con la città di Roma
Rimanendo nella Capitale, in un’intervista di qualche anno fa lei aveva detto di essere rimasto molto legato a Roma, pur avendoci vissuto pochi anni. Che rapporto ha avuto con la città e che ricordo ne conserva?
“Ancora oggi vengo a Roma spesso per cui parlare di ricordi forse è improprio dato che la vivo ancora. Come città, è inutile dirlo, è la più bella del mondo. Con degli amici come Bruno Conti ci sentiamo tutte le settimane, chattiamo, la Capitale farà sempre parte della mia vita. Purtroppo non mi ci sono fermato a vivere perché poi la mia vita professionale e privata mi ha portato altrove e oggi è a Milano. Detto questo, se mi dicessero di tornare a vivere a Roma non ci penserei su due volte“.
L’avventura in giallorosso di Collovati
Lei è arrivato nell’87 dopo i problemi sorti con l’Inter, con un passaggio in mezzo all’Udinese. Nel primo anno arrivaste terzi dietro al Milan di Sacchi e al Napoli di Maradona. L’anno seguente invece le cose non andarono troppo bene, con i giallorossi che finirono ottavi. Cosa porta con sé di quei due anni? Cosa funzionò e cosa no?
“Il primo anno andò bene, siamo arrivati terzi e pensi che i tifosi erano delusi, purtroppo oggi vedo che non va molto meglio. All’epoca infatti soltanto le prime due andavano in Champions. Ad ogni modo c’erano Rudi Voller, Boniek, Bruno Conti, Giannini, Sebino Nela, Pruzzo, era una grande squadra, ho dei ricordi meravigliosi. Il secondo anno invece andò meno bene, arrivammo ottavi e perdemmo a Firenze lo spareggio per entrare in Coppa Uefa contro la Fiorentina. Fu senza dubbio una stagione più travagliata, vuoi per qualche cessione, vuoi per qualche infortunio come quello a Voller. Annate così possono capitare”.
C’è un giocatore giallorosso a cui è rimasto legato anche dopo la fine della sua avventura a Roma?
“Sicuramente Bruno Conti e Sebino Nela”.
Il più forte calciatore con cui ha giocato nella Capitale e in assoluto, guardando a tutta la sua carriera?
“Non mi piace fare classifiche, non mi sembra giusto. Fare un nome al posto di un altro significherebbe fare un torto a chi resta fuori”.
Proviamo allora a parlare degli avversari in campo. Quale è stato l’attaccante più difficile da marcare?
“Ogni domenica era sempre difficile, ma se devo dire il calciatore che più mi ha messo in difficoltà il pensiero va ad un attaccante che oggi purtroppo non c’è più. Era il centravanti della Nazionale inglese, si chiamava Trevor Francis, è venuto a mancare da poco”.
Il ricordo e gli aneddoti sul “Barone” Nils Liedholm
Lei ha avuto modo di conoscere Liedholm sia al Milan che poi alla Roma. Che persona era?
“Oggi nel mondo del calcio c’è tanta filosofia, tutti parlano di tattica, ma io vi dico che il calcio di Liedholm era moderno già cinquant’anni fa. Lui pretendeva che il terzino, guardate Tassotti, marcasse e facesse l’ala destra, giocava con un centravanti, con un numero 10, come Rivera al Milan, voleva che il difensore, tipo il sottoscritto, fosse propositivo anche in avanti. Mi diceva: ‘marca e vai’. Di certo se anticipavi l’uomo non dovevi semplicemente scaricare il pallone ma dovevi inserirti in proiezione offensiva”.
Qualche aneddoto in particolare?
“Ce ne sono mille. Il “barone” era amante dei maghi, appassionato di astrologia. A volte prima della partita ti mandava da lui a capire se era una giornata positiva oppure no. E se avevi i bioritmi negativi era capace anche di non farti giocare. Ricordo un Gianni Rivera, uno dei migliori calciatori italiani di sempre, che in un derby non giocò perché quel giorno il mago gli aveva detto che aveva i bioritmi negativi“.
Sulla tifoseria giallorossa: “Il romanista? E’ passionale, vive la squadra tutti i giorni”
Collovati ha toccato con mano il tifo in alcune delle piazze più calde del nostro campionato. Che ricordo ha della tifoseria romanista? Il calore che ha sentito qui è davvero diverso come si dice rispetto a quello che si percepisce in altri ambienti?
“Il tifoso della Roma è un tifoso di tutti i giorni, non solo della domenica, non è ‘occasionale’, è passionale. Consideri che quando io ho iniziato a giocare nella Roma nascevano le prime radio romane che ci sono ancora oggi, a Milano non ce ne sono ad esempio. Questo perché chi tifa Roma ha bisogno di comunicare, di manifestare ogni giorno il suo sfogo sia in positivo che in negativo. Le radio romane sono diventate famose per questo motivo”.
Anche qui c’è qualche ricordo in particolare con i tifosi?
“Mi ricordo che dopo una settimana dal mio arrivo a Roma un tifoso mi disse: ‘ricordati una cosa, meglio andare in B che perde il derby’. Questo fa capire che il tifoso romanista è anche ‘stracittadino’, anche se poi negli anni la squadra ha assunto chiaramente una dimensione molto più internazionale”.
L’opinione sui Friedkin
Lei prima ha parlato di necessità del tifoso romanista di comunicare, di vivere appieno l’ambiente nel quotidiano. Adesso però c’è una proprietà che si comporta esattamente all’opposto. Che idea si è fatto dei Friedkin?
“La proprietà non la conosco quindi non mi permetto di giudicare. Posso esprimere un giudizio in generale però su questo tipo di Presidenze. Il tifoso ha bisogno di capire chi c’è al vertice, chi sono gli uomini di riferimento della società. Ecco, con queste proprietà si è perso questo legame con la tifoseria: Roma, ma anche il Milan, hanno preso questa direzione all’insegna della mancanza di comunicazione. Sai chi è la proprietà ma non sai mai con chi parlare. Dal mio punto di vista posso dire che non mi piace come modalità di gestione, è un aspetto poco piacevole, perché chi entra nel mondo del calcio sa che bisogna parlare con l’ambiente tutti i giorni o quasi. Sarà una scelta strategica ma non la condivido. Ai miei tempi si prendeva il caffè insieme al bar, forse era un’esagerazione mi rendo conto, ma adesso siamo all’estremo opposto. Così facendo tutto diviene più freddo e distaccato”.
Sul prossimo campionato
Chiudiamo con una battuta sulla prossima Serie A. Quali sensazioni ha in vista della prossima stagione, sarà un torneo più equilibrato rispetto a quello visto quest’anno?
“Negli ultimi due anni è stato un campionato a senso unico, prima il Napoli, quest’anno l’Inter. Il prossimo, anche in virtù di un mercato teso sempre più a portare via dalla Serie A i calciatori migliori, forse potrebbe essere più equilibrato. Credo si ripartirà con i soliti dubbi – ad esempio il Napoli: ha preso Conte ma che ne sarà di Kvara e Osimhen? – chi è andato male punterà a rafforzarsi sul mercato, ma se dovessi sbilanciarmi su una favorita dico ancora l’Inter. E’ l’unica probabilmente che può contare su uno zoccolo duro rimasto”.