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Interviste

Chierico: “Dopo 40 anni sogno ancora quel rigore che non ho mai potuto calciare”

Intervista a 360° con l’ex giocatore dello scudetto giallorosso ’82-’83. Dagli aneddoti della “sua” Roma a quella attuale di De Rossi, con un passaggio sulla Nazionale e sui problemi del calcio moderno

Abbiamo intervistato Odoacre Chierico, calciatore dal passato glorioso nella Roma – vinse con i giallorossi lo storico secondo scudetto – e un ricordo, vivido, dei campioni di ieri, alcuni dei quali, purtroppo, non ci sono più. Lo abbiamo raggiunto al telefono affrontando con lui anche tutti i temi caldi del momento, dalla Nazionale, al calciomercato, fino alla Roma di De Rossi (fresco del rinnovo) che sta nascendo.

Ma è della “sua” Roma che abbiamo parlato di più ripercorrendo assieme i momenti cruciali della sua carriera. Ricordi emozionanti, belli, ma anche qualche rammarico, come la finale di Champions persa contro il Liverpool. E poi un confronto, lucido e critico, tra il calcio di una volta, dove a contare erano gli uomini, veri, e quello moderno, dove invece è solo il business a muovere tutto.

Intervista a Odoacre Chierico

Odoacre Chierico – (RomaForever.it)

La carriera di Odoacre Chierico è stata legata alla Roma ma anche ad altri club della Serie A, tra tutti l’Inter, con cui ha fatto il suo esordio nel grande calcio. Ma è nella Capitale che il calciatore ha trovato le sue gioie più grandi. Chierico ricorda con noi gli inizi della sua avventura professionale – con un aneddoto che non tutti forse conoscono – e soprattutto l’approdo nella società giallorossa, un ritorno per lui importante considerando che il calciatore, qui, tra l’altro, ci è nato nel 1959. Nils Liedholm, Di Bartolomei, Bruno Conti, sono solo alcuni dei nomi che troverete nell’intervista. Passato dunque ma anche presente della Roma, con la sua opinione sul momento attuale che sta vivendo la società dentro e fuori dal campo. Prima però era doveroso partire dall’Italia di Luciano Spalletti.

“Nazionale? I guai della pentola li conosce solo il coperchio. E su Calafiori vi dico”

Negli occhi abbiamo ancora il gol di Zaccagni all’ultimo istante ma è evidente che l’Italia sta incontrando molte difficoltà. A cosa sono dovute secondo lei?

“Da fuori parlare è facilissimo, criticare le scelte dell’allenatore lo è altrettanto. La verità è però che i guai della pentola li conosce soltanto il coperchio, quindi soltanto Spalletti ha il vero polso della situazione. Guardandola a distanza posso dire che di problemi chiaramente ce ne sono diversi, è evidente. L’unica cosa che mi sento di aggiungere dal punto di vista tecnico è che non capisco l’idea di giocare con due giocatori mancini nei 4 in difesa (Calafiori e Bastoni, ndr), anche se poi con la Croazia ci siamo messi anche a tre. L’ultima partita è stata complicata e forse all’inizio c’è stato un po’ di timore, la voglia, probabilmente, di giocare per un pareggio che ha condizionato l’approccio. Certo, l’importante era qualificarsi ma nel passaggio del turno ha giocato una componente fondamentale un po’ la fortuna, e forse anche il destino perché resta incomprensibile come i nostri avversari abbiano potuto lasciare Zaccagni da solo in quel modo a pochi secondi dal triplice fischio. Dopodiché ci sono tutta un’altra serie di motivazioni che spiegano a mio avviso le difficoltà dell’Italia”.

Ci dica..

“Il mondo della Nazionale è completamente cambiato. Prima ogni squadra del campionato aveva perlomeno 5-6 giocatori italiani. Moltiplichi per 20 formazioni. Dunque le possibilità per il CT della Nazionale erano più ampia, mi riferisco soprattutto alle scelte nei singoli ruoli. Ma non parlo della mia epoca, basta tornare indietro anche a soli 20 anni fa. Adesso, non so di chi sia la colpa, non è più così. Ma tutto questo è penalizzante”.

Come vede il resto del cammino all’Europeo?

“Nelle fasi iniziali, nel primo girone, l’Italia ha sempre un po’ sofferto per poi uscire alla distanza. Vedremo adesso con la Svizzera, sarà un banco di prova importante“.

L’opinione sui giallorossi a Euro2024

Da ex giallorosso le chiediamo un parere sui calciatori della Roma partiti per gli Europei, in particolare Pellegrini, più ombre che luci sin qui, e Mancini, quest’ultimo non ancora impiegato. Che ne pensa?

Su Mancini.Di lui mi piace l’aspetto tecnico, il modo con cui interpreta il ruolo di difensore, ma non ne condivido alcuni suoi atteggiamenti che talvolta sono plateali. Detto questo forse sarebbe stato più idoneo a giocare accanto a Bastoni essendo destro di piede, ma chiaramente è un mio punto di vista. Se Spalletti sta prendendo queste scelte è perché ha un quadro differente della situazione”.

Su Pellegrini.I tifosi spesso si dividono su di lui. Personalmente credo sia un ottimo giocatore, purtroppo poi bisogna però anche dimostrarlo in campo. Forse in Nazionale sta anche soffrendo seguendo il rendimento del resto della squadra. Spero si sblocchi, che sia sereno e che riesca a fare prestazioni migliori”.

“Sono contento dell’esplosione di Calafiori. C’ero quando si infortunò”

“Vorrei fare poi una piccola parentesi su Calafiori…

Prego…

“Io lo conosco molto bene. Era con me alla Primavera della Roma quando stavo con De Rossi (Alberto, ndr), io ero un collaboratore, abbiamo vissuto il suo infortunio. Sono contento di vederlo lì perché sta raccogliendo i frutti del lavoro che ha fatto. La sua fortuna, penso, sia stato lo scomparso Mino Raiola che lo portò ad operarsi negli USA. E da lì è partito tutto. Lo abbiamo visto agli inizi con il Bologna, tra alti e bassi, mentre quest’anno l’allenatore è stato bravo a valorizzarlo”.

Sul ruolo differente rispetto agli esordi. “In realtà le dico che già che ai tempi della Primavera della Roma ci esprimemmo in merito al fatto che Calafiori non fosse un terzino sinistro, bensì che potesse diventare un grandissimo centrale difensivo, sempre sinistro. L’infortunio chiaramente poi cambiò tutto”.

Sugli “altri Calafiori” italiani non valorizzati: “Decreto Crescita? Una vergogna”. “Tornando al discorso della Nazionale di Calafiori ce ne sono tanti, il problema è che non si fanno giocare. Si preferiscono calciatori esteri e in questo senso non capisco anche solo come si possa aver pensato di varare il Decreto Crescita che a mio avviso è stata una mannaia, una vergogna per il calcio italiano. Noi abbiamo giovani che sono i più forti al mondo, è evidente che manca qualcosa per lanciarli. E credo che anche la Federazione abbia le sue responsabilità in tutto questo”.

Odoacre Chierico e la Roma: gli scudetti a confronto

Da poco si è ricordato lo scudetto del 2001, e ora abbiamo il privilegio di parlare direttamente con chi ha vinto sul campo quello dell’82-83. Secondo lei, pur trattandosi di epoche completamente diverse chiaramente, è possibile fare delle analogie tra queste due storiche vittorie?

Sicuramente erano entrambi gruppi pieni zeppi di campioni. Nel 2001 con i vari Cafù, Candela, Totti, Batistuta, e nell’82-’83, noi avevamo avuto la fortuna di avere Falcao e Prohaska, l’anno dopo, Cerezo. Parliamo di icone del calcio. E poi tutti i calciatori italiani, veri fuoriclasse, da Bruno Conti agli altri che non mi metto qui a menzionare, non servirebbe nemmeno, ma che sono stati a loro volta delle istituzioni. L’unico rammarico forse per questi due storici gruppi è forse quello in entrambi i casi di non essere riusciti ad aprire un ciclo più lungo, di riuscire a vincere più di quanto fatto”.

Ancora sullo scudetto del 2001. “Il gruppo del 2001 che ha vinto lo scudetto era meraviglioso. Giocatori, ma soprattutto uomini, perché il talento da solo non basta se si vogliono raggiungere determinati risultati. Essere dei fuoriclasse in campo non è sufficiente perché poi i grandi campioni devono saper stare assieme, avere le stesse attitudini, gli stessi valori. Per tutto questo servono società, servono Presidenti, servono Dirigenti, a tutti i livelli, e ognuno deve fare la propria parte. Oggi nel calcio moderno si punta il dito sempre contro i calciatori ma io dico che loro restano la parte migliore di questo sport, perché sono pur sempre dei ragazzi. Devono però essere guidati da regole e da valori: solo così si può arrivare in alto. Il problema è che oggi sono gli interessi a muovere tutto. Soldi e interessi, interessi e soldi. Abbiamo rose di 30 elementi, di paesi diversi, non si sta più insieme, non c’è aggregazione. Tutto diventa più complicato. Ovviamente questo non vuol dire che sia impossibile costruire realtà vincenti, guardate il Bologna, ma serve una visione d’insieme, servono le persone giuste, in grado di creare un gruppo dove tutti remano nella stessa direzione”.

“Vincere lo scudetto a Roma emozione senza eguali. La famiglia Viola? Unica”

Sulla vittoria dell’82-83. “La mia Roma? A quel tempo era tutto più facile da questo punto di vista. Eravamo pochi, 18-19 elementi, eravamo una famiglia in tutto e per tutto. E poi c’erano i maestri, di vita e di calcio come Nils Liedholm, che oggi non ci sono più. Come era un maestro l’allenatore del 2001, Capello, con cui ho avuto la fortuna anche di giocarci contro in campo quando ero all’Inter, in un derby. Lui è uno di questi. Che dire poi della proprietà? Una famiglia, quella Viola, amante, passionale, romanista che era presente, sempre presente. Vincere lo scudetto con la Roma è stato fantastico, una delle cose più belle che mi siano mai capitate. Le dirò di più: all’epoca, vedendo quello che succede oggi quando le squadre vincono qualcosa, non si festeggiava nemmeno poi così tanto in paragone. Era tutto un po’ più contenuto. Anche se le emozioni furono fortissime”.

Il “Barone” e il “Capitano silenzioso”

Un ricordo di Liedholm?

“Era un maestro dentro e fuori dal campo lo ribadisco. All’epoca si insegnava con l’esempio. E il Barone era uno di questi che comunque difendeva sempre i calciatori ma se c’era da prendere un provvedimento non si tirava di certo indietro. Sempre però con il suo grande charme e aplomb da Svedese che aveva. Incuteva non dico suggestione ma comunque lo rispettavi. Non ricordo mai un suo comportamento sbagliato, fuori posto, né suo, né del suo staff. Si respirava un’aria di umiltà e serietà”.

Su Agostino Di Bartolomei?

“Agostino era un Capitano, un Capitano silenzioso, uno di quelli che dava l’esempio per tutti, giovani e meno giovani, con il suo atteggiamento fuori e dentro dal campo. Visto che ha citato Agostino vorrei dedicare un pensiero anche ad Aldo Maldera, anche lui scomparso prematuramente”.

La finale Liverpool Roma all’Olimpico: il ricordo di Chierico

Arriviamo alla finale ‘maledetta’, quella persa nel 1984. Cosa rappresenta per lei quella partita?

“L’aneddoto che purtroppo posso raccontare è che ancora oggi sogno di notte da 40 anni episodi legati al fatto di non aver avuto la possibilità di tirare quel rigore. Subentrai a Pruzzo a partita in corso ed ero stato inserito come quinto rigorista. Non l’ho mai tirato. Lei può capire cosa vivo io da 40 anni, non è facile convivere con una cosa del genere”.

La carriera. Dalla Roma…alla Roma: “A 11 anni mi mandarono via, poi sono stato felicissimo di tornare”

Ci parla dei suoi esordi nel mondo del calcio con la STEFER (società di tram e ferrovie di Roma, ndr)?

“Devo fare una piccola precisazione. Non tutti ricordano infatti che io in realtà già nel 1970, a 11 anni, giocavo già con la Roma. Ci allenavamo a Sant’Arcisio. Il problema è che io agli allenamenti non ci andavo mai e preferivo giocare nel prato sotto casa, dove per inciso feci conoscenza del Capitano della Primavera della Roma di quel tempo, Ezio Sella, più grande di me, che poi ha costruito la sua carriera altrove, tra Fiorentina, Brescia, Bologna, ecc. Ad ogni modo non frequentando gli allenamenti dalla Roma mi mandarono via e devo dire che fecero bene. A 13 anni sono andato alla Stefer e poi da lì è iniziato tutto”.

Inter, Pisa, Roma e l’incontro con Dino Viola

Cosa può dirci del suo trasferimento all’Inter e poi a questo punto il ritorno a Roma dopo l’esperienza anche al Pisa?

“Sì, dopo la Stefer la Roma ha provato a riprendermi ma ormai era definito tutto per il passaggio all’Inter. Destino ha voluto che con i nerazzurri esordissi all’Olimpico contro la Lazio, gol di Clerici quasi a tempo scaduto, perdemmo 1-0. Due anni dopo sono andato in Serie B con il Pisa, e poi sono arrivato a Roma. Chiaramente fui molto felice di essere stato cercato nuovamente dai giallorossi: incontrai il Presidente Dino Viola nella sede al Circo Massimo ma non ci mettemmo subito d’accordo. Nell’ultimo anno al Pisa ero stato premiato come miglior giocatore della Serie B e per questo avevo molte richieste, tra l’altro sapevo che c’era un interesse anche del Napoli. Poi però trovammo la soluzione giusta perché la mia volontà era comunque quella di giocare per i giallorossi. Alla fine tutto si sistemò. Iniziò così la mia seconda avventura, quella ufficiale, alla Roma. Ricorderò per sempre il mio esordio all’Olimpico in un test di apertura di stagione contro una squadra brasiliana”.

“I tifosi della Roma? Sono fantastici”

Da romano può dirci come si ‘regge’ il peso di indossare questa maglia?

“Onestamente le devo dire che non ho mai avvertito una pressione in termini negativi, probabilmente anche perché è andato sempre tutto bene. Sono stati quattro anni fantastici. Sicuramente ha giocato un peso anche l’esperienza maturata a San Siro che mi ha forgiato per giocare in stadi e in piazze importanti”.

Come sono i tifosi della Roma?

“I tifosi della Roma sono fantastici, li ricordo ‘sopra’ al muro di Trigoria, attaccati alla rete. Ho sempre avvertito la loro vicinanza, il loro calore”.

Dalla Roma di un tempo a quella di oggi, Chierico su De Rossi: “E’ l’uomo giusto”

Veniamo alla Roma di oggi. Che anno attende De Rossi?

“Quest’anno per certi versi è stato tutto molto più facile, nel senso che Daniele, che conosco benissimo, si è dovuto principalmente occupare di restituire quella fiducia che si era persa con la precedente gestione. E lui, da uomo di calcio quale è, ha fatto bene il suo lavoro. Ha fatto di nuovo sentire la squadra un gruppo e ha raccolto ottimi risultati per come si era messa la stagione. Credo che la Roma fosse un’ottima squadra e che non meritasse di finire così indietro in classifica come quando c’era Mourinho. Probabilmente si era persa quell’unità d’intenti che De Rossi ha saputo restituire. Il prossimo anno chiaramente, partendo dall’inizio, sarà più difficile. Mi auguro che si facciano i dovuti interventi, prendendo giocatori importanti, giusti, e non solo per il loro valore in campo”.

E’ stata la scelta corretta quindi puntare su di lui…

“Sicuramente. Daniele è stato un ottimo giocatore, è una persona seria, un ottimo professionista. I Friedkin hanno fatto la scelta giusta. Adesso sta a lui dimostrare il suo valore”.

Friedkin e mercato: l’opinione

Si parla molto dell’acquisto da parte proprio della famiglia americana dell’Everton. Lei che idea si è fatto della proprietà, pensa che continueranno ad investire sulla Roma?

“Guardi le dico la verità, non so rispondere a questa domanda. Posso dire che nel calcio di oggi ciò che contano sono solo gli interessi, l’ho detto prima. Io non credo che i Friedkin siano diventati tifosi della Roma. Credo che tutto si faccia per business. Tutto quello che è marketing, interessi, non collima in realtà con il calcio secondo me, se non per la parte amministrativa che pure deve esserci chiaramente. Poi però nella gestione del campo serve gente competente in grado di stare vicino alla squadra, gente di calcio, che ha fatto calcio. Solo in questo modo si può pensare di vincere le partite. Vedremo ciò che accadrà alla Roma”.

Chiudiamo con una domanda sul calciomercato. Secondo lei cosa serve a questa squadra?

“Io investirei prevalentemente su calciatori italiani e mi riallaccio così anche al discorso fatto prima per la Nazionale. Ora non le so fare nomi precisi, ma mi metterei a tavolino stilando un elenco di quelli che si potrebbero andare a prendere per valorizzarli. Il problema è che nel mercato di oggi, purtroppo, spesso non è possibile. La prova? Se si vanno a comprare calciatori all’estero si possono fare una serie di ragionamenti, se prendi un giocatore italiano se ne possono fare di meno. Chi vuole intendere, intenda”.

Luca Mugnaioli
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Luca Mugnaioli