Agostino Di Bartolomei, per molti, è solo un ricordo. Per altri è stato un amico, per tutti è stato (e resta) un esempio. Se oggi per capire chi fosse Ago dobbiamo farci bastare le parole di chi ha condiviso lo spogliatoio con lui, è perchè da 30 anni a Roma – e non solo – c’è un vuoto incolmabile con cui fare i conti.
Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto sul piano umano. I calciatori, nella Capitale, non sono semplici idoli. Possono diventare rappresentanti di una filosofia di vita che va oltre il semplice compitino in campo. Essere riferimento – a Roma – non è facile. Una piazza umorale ed eclettica come quella capitolina non è banale e tantomeno scontata.
Un giorno sei un Dio, quello dopo devi scendere all’inferno. Dipende quanto dai e come lo dai. Roma giallorossa è un vulcano di sensazioni, suggestioni e possibilità. Plasmare tutto questo non è immediato e qualche volta sembra impossibile, ma chi ci riesce può guadagnarsi l’eternità. Agostino Di Bartolomei ce l’ha fatta: con le sue parole, mai di comodo e sempre puntuali, ha fatto capire cosa significa indossare questa maglia.
Sposare questi colori: “Sei tu l’unica mia sposa, sei tu l’unico mio amor” è una frase che riecheggia ancora oggi. Dichiarazione d’amore immenso seguita dal rispetto e la professionalità dovuta agli obiettivi e alle scadenze. Il cuore non basta, serve anche la giusta mentalità e quel senno che Di Bartolomei metteva in ogni momento.
Poi il buio e il suicidio, ma quelli sono aspetti talmente personali che indagarli oggi non avrebbe senso. Cercare di entrare nella testa di chi non c’è più non solo è impossibile, ma diventa anche morboso quando ci sarebbe molto altro da ricordare. L’esempio, in primis, perchè Agostino fino all’ultimo – nella sua esperienza alla Roma – è stato un capitano presente. Collante per la squadra e per il pubblico. Foto, all’epoca non c’era ancora il selfie, con chiunque.
Specialmente con i bambini, perchè il romanismo si impara da piccoli. Quegli abbracci e quei sorrisi restano solo se c’è qualcuno in grado di restituirli. Lezione che vale – per usare un altro termine noto agli estimatori di Di Bartolomei – almeno quanto un vessillo da portare in porto. A Roma non valgono (soltanto) i trionfi, vincere non è l’unica cosa che conta. Essere pronti e disposti a dare tutto, invece, è il primo valore.
Quel bene invisibile, ma possente, che quando arriva è impercettibile ma necessario. Lo ha capito bene, attraverso la storia e le convenzioni, Daniele De Rossi. Il quale al posto del vessillo ha preferito la vena, ciascuno ha i propri riferimenti, ma la sostanza non cambia. DDR ha vissuto e vive con Di Bartolomei nel cuore, ma più che la persona gli sono rimasti i valori. Impressi a caratteri cubitali.
Essere a Roma e della Roma non è un lavoro, ma un sogno costante, che si alimenta con sincerità, presenza e passione. Un legame che porta, inevitabilmente, a qualche sacrificio. Ma ne vale sempre la pena, perchè – come ha sottolineato l’indimenticato capitano – ci sono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma. Questa priorità non deve riguardare solo chi popola gli spalti, ma anche e soprattutto chi scende in campo. Per molti 90 minuti, per altri una vita. Quella di Agostino che, oggi, domani e sempre il popolo romanista omaggia con un tiro, una lacrima, un brivido.